3.06.2009

CONFESSIONI DI UN IMMORTALE

New York, un alto grattacielo di Manhattan, le finestre coprono l'intero edificio, come se fosse un'incantevole gabbia di cristallo. Dall'ultimo piano un'oscura figura, illuminata solo dalle luci della città che non dorme mai, osserva la città nella sua totalità. Un'espressione è dipinta sul suo volto, un'espressione indefinibile, a metà tra il disgustato e il malinconico. Osserva quelli che sembrano formiche visti da una tale altezza, come se fossero i suoi sudditi, e lui.. il Re. Poi alza lo sguardo verso il cielo. "Il mondo si è trasformato attorno a me, è cresciuto, è crollato e si è risollevato dalle proprie ceneri, come un'immortale fenice. Sembra che tutto sia destinato a cambiare, tutto... a parte me... e le stelle: sono diventate le mie compagne... portano un pò di luce in quest'infinita ed eterna notte, che tutto ammanta col suo nero mantello...
Quanto tempo è passato... tempo, una parola che ormai per me ha perso di significato. Per molti la vita eterna è un'idea affascinante, ma non per me... questa eternità assume un volto melanconico quando vi trovate a portare il peso che io devo portare. Sono condannato a guidare coloro che non sono in grado di prendere neanche le decisioni più basilari... a volte mi chiedo che senso abbia la loro esistenza. La vita eterna, un concetto che non potevo neanche lontanamente immaginare fintanto che batteva un cuore nel freddo e morto petto che vedo ora allo specchio. A volte mi osservo, guardo la mia immagine riflessa, cerco qualcosa dentro ai miei occhi, una qualche scintilla di vita, seppur piccola, un monile di quello che mi hanno condannato ad abbandonare... ma nulla. Sono un empio sarcofago, nient'altro che la bara di me stesso. Ahahhah"
Un ghigno, una risata sarcastica gli rotola fuori dalla bocca, una sorta di velo atto a celare nient'altro che amarezza e malinconia. Poi si volta, qualcosa si è mosso... la sua ospite, una bellissima donna, tra i 25 e i 30 anni, sdraiata su un divano, i capelli dorati che scivolano lungo il suo collo fino a giungere al suo seno, i suoi occhi sembrano due diamanti... sembra spaventata, ma allo stesso tempo è come se non volesse fuggire...
"Oh, perdonatemi, vi ho svegliata? Quale scortesia... non mi sono nemmeno presentato.
Abito all’American Gardens Building, sull’Ottantunesima west, al ventunesimo piano, ma credo che l'abbiate intuito da ciò che vedete dalla finestra. Mi chiamo Viktor Laurent De Lioncourt, ho 42 anni, o almeno questo è quello che dico sempre, e che il mio corpo mostra. Credo fermamente nella cura della persona, nell'educazione e nella galanteria. Ah, come dimenticarsene, credo in egual misura anche nella pecunia: è incredibile, gli anni passano ma il mondo ruota sempre intorno al denaro. Oh, perdonatemi, non voglio tediarvi con le mie divagazioni... Ah! Nonono, vi prego, non vi consiglio di alzarvi in piedi, so che al momento non vi soggiunge in mente, ma avete bevuto una forte dose di assenzio, non vi consiglio di alzarvi..."
Lei inizia a rendersi conto di avere il corpo intorpidito, non riesce quasi a muoversi. Lui le si avvicina, gli basta uno sguardo, e lei sembra calmarsi, inspiegabilmente. L'uomo solleva dolcemente la testa della donna, e dopo essersi seduto sul divano la riappoggia con delicatezza sulle proprie gambe. Le sue mani affusolate iniziano ad accarezzarle il viso e i capelli.
"Stavo dicendo? Certo, naturalmente mi stavo presentando, cos'altro avrei potuto fare daltronde? Oramai questa è una sorta di routine per me... ma sapete? Voi mi siete simpatica... credo che sarò alquanto sincero con voi.
C’è una vaga idea di Viktor Laurent De Lioncourt. Una sorta di astrazione. In realtà non sono io, ma una pura entità, qualcosa di illusorio. Anche se so mascherare la freddezza del mio sguardo e voi potete stringermi la mia mano e sentire la mia carne contro la vostra e magari perfino arrivare a credere che i nostri stili di vita sono probabilmente comparabili. La verità è che io... non sono...li..."

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